Il mostro di Trieste by Gianluca Rampini

Il mostro di Trieste by Gianluca Rampini

autore:Gianluca Rampini [Rampini, Gianluca]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Newton Compton Editori
pubblicato: 2024-03-22T09:31:11+00:00


Capitolo 47

Inverno 2018

Le lasagne, la zuppa inglese e l’antidolorifico avevano restituito a Zeno il buon umore. Non era pentito di aver derogato, per una volta, al suo regime alimentare tutto verdure e carni bianche. Nonna e nipote erano rimaste in cucina a chiacchierare, Zeno e il padre adottivo giocavano a biliardo nello studio. Rigorosamente all’americana.

«Com’è andata la visita dal cardiologo?»

«Tutto a posto, finché faccio i miei esercizi. Ha detto che l’aritmia è stata causata dall’antiemetico, perché contiene cloruro di potassio ed è pericoloso nelle mie condizioni».

«Direi che nelle tue condizioni, prendere un medicinale qualsiasi può essere pericoloso».

«Forza dell’abitudine, ma ora ci presterò attenzione».

Zeno appoggiò la mano sinistra sul tappeto verde, la stecca sulla mano destra e spedì la palla numero sette in buca d’angolo. Ruggero diceva che non c’era niente al mondo come sentire il rumore delle palle che sbattono le une contro le altre quando si spaccano e cadono nelle retine. Il tavolo da biliardo era stato il loro unico punto d’incontro, anche in gioventù, tanto che Zeno si era chiesto se il padre avesse acconsentito all’adozione solo per accontentare Marta. Non condivideva il suo entusiasmo per il biliardo, ma ci teneva a dargli filo da torcere come forma di rispetto verso quell’unica consuetudine in grado di avvicinarli.

Appoggiato alla scrivania, osservava Ruggero posizionarsi sul tappeto sintetico del tavolo, allungarsi e prendere la mira, ma non riusciva a concentrarsi. Ogni volta che la sua attenzione non era impegnata da qualcosa di contingente, l’immagine dell’oggetto appeso alla scena del crimine – la pietra colorata di rosso – catalizzava i suoi pensieri e gli procurava la sensazione di aver dimenticato qualcosa, che tra i ricordi d’infanzia, inabissati nel suo subconscio, ci fosse una corrispondenza. Non poteva più rimandare, per capire doveva chiedere quello che non aveva mai chiesto. Aspettò che la palla otto, dopo aver spinto la quattro in buca d’angolo, si fermasse e diede voce a quello che lo distraeva.

«Ho cambiato idea».

«Su cosa?», chiese Ruggero raddrizzandosi.

«È arrivato il momento che tu mi dica quello che sai, ho aspettato abbastanza?»

«Perché proprio adesso? Credevo non ci pensassi più».

Ruggero poggiò la stecca a terra. Gli sembrò che per un istante stringesse le labbra.

«Lo pensavo anch’io, ma sono successe alcune cose».

«Quali cose? Sul lavoro?»

«Non posso parlarne, e poi non ha importanza il perché. Ora voglio sapere».

«Capisco che se c’entrano delle indagini non dovresti dirmelo, ma insomma, te ne esci così all’improvviso, penso di aver diritto a qualche spiegazione».

Zeno appoggiò la stecca e fece alcuni passi intorno al biliardo. «Ho visto una cosa che mi sembra familiare, che però non riesco a collocare. Credo sia importante e non riesco a lasciar perdere».

«Non mi sembra una gran motivazione».

Zeno lo guardò in faccia. «Non lo so. È come se fosse un campanello d’allarme, che mi avverte che non posso più ignorare il passato solo per quieto vivere».

Per natura e per istinto di conservazione, Zeno rifuggiva le complicazioni. Il problema era che, dalle condizioni di Margherita alle minacce alla figlia legate al mestiere che si era scelto, le complicazioni non ne volevano sapere di starsene alla larga dalla sua vita.



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